Maria Cristina De Amicis
Significato e Senso (2004)
per voce ed elaborazione elettronica
testo di Anna Maria Giancarli
Giustapposizioni o coordinazioni, uniformazioni o variazioni delineano la trama di una struttura simbolica. L’osservazione dei diversi stati di un sistema che compie una trasformazione irreversibile ci permette, di conoscere l’esistenza di una sequenza temporale degli eventi, che dà significato alle parole passato e futuro, permettendoci di distinguere ciò che segue da ciò che precede. Ciò vale per l’opera musicale quando la trasformazione dei parametri sonori è resa costante, quando ogni predicibilità del suono e delle forme assume un carattere probabile, mai riproducibile. Non c’è un “inizio” ne un “termine” dell’opera, il tempo minimo e il modo di ascolto dipende dal contesto, perché ciò che desidero esprimere è la valenza in se di ogni mutazione, cioè la capacità che ogni trasformazione della materia ha di rappresentare, in piccolo, le mutazioni dell’universo.
L’intreccio, le minuziose descrizioni, il vissuto dei protagonisti e il susseguirsi di attese, di proiezioni nel passato, portano il lettore ad un costante confronto temporale con gli accadimenti narrati. Tutto è pervaso da una persistente dialettica tra il tempo passato e l’ineluttabile scansione del quotidiano; la vita e le emozioni sono distinte attraverso scansioni del tempo e ritmi diversi. Il racconto informa, veicola delle idee, narra dei fatti, descrive situazioni, presenta una trama, racconta una storia. Ma il testo ha anche una funzione “espressiva”. Il linguaggio non si limita unicamente comunicare delle idee, ma è anche espressione-proiezione di elementi non intenzionali. Oltrepassando la soglia del senso primario della parola, si entra nel mondo esoterico dei simboli dove la parola rivela “il volto nascosto dell’universo e i rapporti insospettabili che tessono fra loro i fenomeni, le cose, le forze della natura, fra cui l’uomo”.
Il lavoro è stato prodotto e realizzato presso l’Istituto Gramma de L’Aquila in stretta collaborazione con l’autrice ed interprete Anna Maria Giancarli.
Silvia Lanzalone
Ombre, Penombre, Bagliori, trittico d’arte, musica e poesia (2012)
per voce, immagini ed elettronica
testo di Ugo Lanzalone
immagini di Bruno Lanzalone
Ombre, Penombre, Bagliori, trittico d’arte, musica e poesia (2012), è un ciclo di tre opere musicali elettroacustiche costruite intorno ad altrettante opere pittoriche di Bruno Lanzalone, mio padre, per le quali il poeta Ugo Lanzalone, mio zio, ha composto tre corrispondenti poesie. L’opera trae il proprio titolo dall’omonima raccolta di poesie di Federico Lanzalone, mio nonno, pubblicata nel 1933 a Salerno dagli Editori Fratelli Di Giacomo.
Il trittico ha dato luogo ad un’esperienza in cui pittura, musica e poesia convergono secondo un criterio di sinergia e interazione tra i linguaggi artistici. L’espressione di intuizioni comuni è sperimentata attraverso la trasposizione da un modo di espressione ad un altro, realizzando così un’opera unitaria. La poesia, la pittura e la musica costituiscono ciascuna di volta in volta l’elemento cardine rispetto al quale le altre due forme di espressione si sviluppano, costruendo un ambiente coerente di ascolto, visione e riflessione. L’intangibile immaterialità dell’espressione musicale e l’immanente atemporalità dell’espressione pittorica, nel contempo, sono arricchite da concretezza simbolica e organizzazione concettuale tramite i potenti strumenti dell’espressione poetica. Il percorso artistico che il susseguirsi delle tre opere delinea, comporta un percorso di elevazione verso una dimensione emotivamente e spiritualmente sempre più luminosa, secondo una successione di “ombre, penombre, bagliori”. La prima opera, dal titolo Giordano Bruno, descrive ombre dolorose di “furori pensieri” che “appiccano altro incendio nell’incendio”, componendo “una scena chiusa”, “tutta terrena” e “senza trascendenza”. L’opera La pietra filosofale, conduce “da pesante terra ai più lievi cerchi di rossa trinità”, e raggiunge penombre “dove il cupo incupisce azzurri e bianchi” e la luce è ancora “quasi una minaccia”. La cupola del Pantheon costituisce la terza opera del trittico e propone “un varco luce di bianco anche non incontaminato”, che “si apre ad altri mondi e dall’oltraggio irradia”, fino a dissolversi “di mistica luce”.
Le tre opere musicali possono essere rappresentate anche indipendentemente dalla parte poetica e pittorica; allo stesso modo, le tre poesie e i tre quadri possono avere vita autonoma.
L a presente versione costituisce un ulteriore approfondimento dell’espressività del trittico, poiché l’elaborazione delle immagini evidenzia un possibile percorso di esplorazione visiva dei quadri, che asseconda e poi espande la loro interpretazione poetica e musicale.
Damiano Meacci
s_suite (2004) per live electronics e voce
testo di Simona Polvani
s_suite è una composizione musicale per voce e live electronics basata su tre poesie di Simona Polvani, piccole_forme, intitolate periplo, la parola e fuga. Dalla parola nuda, al limite dell’astrattismo, o dalla pastosità materica, raccontano di un’intimità incessante, in cui il corpo sensuale è fibra mentale e la sensibilità è occhio rapace. La composizione si sviluppa seguendo, assecondando e contrapponendosi ai testi poetici. Intrecciando materiali predeterminati ed elementi improvvisati si costruisce un percorso sonoro sempre diverso che abbina alla voce recitata, ma non recitante, e alle sue elaborazioni anche elementi sonori concreti e materiali elettronici, per creare diverse prospettive percettive che possano far concentrare su percorsi meramente sensoriali o personali.
Ernesto Ardita
Soy (2013)
per voce ed elettronica
testo di J. L. Borges
Borges, in questa poesia, affronta la questione dell’essere: come consapevolezza del corpo che si riflette nello specchio, come un amico dimenticato, colui che sbaglia o colui che non fu spada nella guerra. L’elaborazione sonora basata su stratificazioni della voce mediante il trattamento di sintesi granulare.
Domenico De Simone
Talking k[NOT]s – I Quipus della Memoria (2011)
testo di Anna Maria Giancarli, Il tempo circolare (I quipus della memoria – da Sconfinamenti, Campanotto editore, Pasian di Prato, Udine 2006)
musica e video di Domenico De Simone
Un filo lega parole, suoni e immagini: il filo nero, cosparso di “trame”, di “memoria”, di discontinuità e, “sopra tutto”, di nodi che raccontano, con il loro ritmo, i loro colori, il loro “mostrarsi”, il loro “succedere”, segreti profondi che diventato “coscienze” per ognuno di noi in modo diverso. Ciò che nascondono e che “velano” non esiste in senso assoluto, ma solo in quanto incontro con il “fruitore”; ed è da questo incontro che nasce l’opera unica, irripetibile. Al di fuori e al di sopra di tutto, del “tutto”, il tempo circolare, ciclico, infinito (D. De Simone).
I QuipusGli Incas non avevano scrittura, ma avevano la stessa concezione ciclica del tempo dei Maya.Sotto l’impero incaico vivevano i Quipucamayos, forse funzionari, forse storiografi, forse contabili, forse aedi, cui gli Imperatori delegavano il terribile privilegio di conservare la memoria del loro impero. Temibile perché, se dimenticavano un frammento del loro passato, venivano condannati a morte.Il quipu è una cordicella con nodi di diversi colori: antica, misteriosa scrittura, ancora indecifrata. Sembra che i colori di quei fili dipanassero le epoche. In questo modo conservavano la storia fino ad una profondità di 400 anni.
Roberto Zanata
“PPP” (2013)
per voce recitante ed elettronica
testo di Pier Paolo Pasolini, “Io so!”
Si dovrebbe scrivere non “sulla” musica ma con la musica (e con l’arte in generale) afferma in un’intervista Jankélévich. Questa affermazione è deliberatamente paradossale, ma deve essere letta con la massima serietà.
Questa composizione è stata realizzata con Max/Msp a partire dalla registrazione del testo di Pier Paolo Pasolini “Io so!” declamato dalla voce dell’attore Simeone Latini manipolata atl’utilizzo di una patch composta da un granulatore, un armonizzatore, un distorsore, differenti tipi di filtri e l’utilizzo pressoché costante di un pan-pot stereofonico.
Mario Verandi
“tour de trance” (2008)
per voce recitante,live sound e video performance
testo di Monika Rinck
Tour de trance è opera audiovisiva creata per il live performance audio e video.
Il pezzo include una poesia della poetessa tedesca Monika Rinck. Un mutevole paesaggio visivo creato all’interno di un acquario di vetro permette la ricombinazione casuale delle parole della poesia di Rinck attraverso un “andare alla deriva”. Il pezzo si propone di esplorare nuovi modi di interazione tra musica, immagini e testo. Il lavoro è stato premiato al ZEBRA Film Festival Internazional di Poesia 2008 di Berlino.
Simone Pappalardo
“come affogare Pinocchio” (2009)
per voce narrante,strumenti acustici preparati e strumenti autocostruiti ed elettronica
liberamente ispirato a “Pinocchio” di C. Collodi
Pinocchio, trasformato in asino, viene acquistato da un mercante che vuole fare con la sua pelle un tamburo. Per tornare il burattino e perdere la “buccia asinina” dovrà annegare e essere mangiato dai pesci…
Primo studio di una trilogia sulle metamorfosi in cui le trasformazioni vengono rese attraverso incastri timbrici e armonici. Gli strumenti, modificati per cambiarne il timbro, sono dei personaggi di una fiaba raccontata dai soli suoni. La parola, usata ritmicamente e timbricamente, scandisce e a tratti illumina, le figure della musica. La forma definitiva del pazzo cambia di volta in volta secondo la tecnica della conduction in cui un numero variabile di esecutori improvvisa guidato da un conduttore attraverso una serie di segni precedentemente stabiliti. In questo caso è la narrazione stessa, insieme agli interventi del conductor, a funzionare da partitura istante per istante. “Come affogare pinocchio” è una lotta fra materiali, quindi, intesa musicalmente, una lotta fra timbri: il legno, il ferro e varie materie liquide si mescolano fino a raccontare una storia di suoni.
Angelo Benedetti
L’eco della mammella (2013)
per voce recitante ed elettronica
testo di Barbara Pinchi
L’eco della mammella emerge da un suono interiore, è il passo ancestrale della donna creatrice, è la domanda che rimane in gola, è la luce che ribolle nei nostri animi.